domenica 28 luglio 2013

Sulla vera natura dei Camaldolesi

a cura del professor GuidoFrancescoMaria della Bernarda, ordinario di "vexata questio" e sufismo all'Università On-Line di Lancaster on Ticino (Pavia)


“Ma i Camaldolesi sono un Ordine o una Congregazione ?”: è una frase udita dallo scrivente in un tramezzo della Biblioteca Palatina di Parma nel corso di un’ardita tenzone oratoria tra cattedratici di opposte fazioni e pareri. Sta nella sua accezione vieppiù popolare a significare vacua perdita di tempo su temi di non stretta pertinenza ed importanza, su questioni minori ed irrilevanti e su bizantinismi vuoti di contenuto, come ahimè capita spesso di sentire nel corso di argute disquisizioni universitarie e professorali, negli ambulatori di vetusti primari di asettiche cliniche universitarie all’ostentazione di cavillose diagnosi di impronunciabili sindromi o nei sottili distinguo di manager di aziende al momento della presentazione di stiracchiati piani strategici.

Nella fattispecie del busillis la vera natura dei Camaldolesi si rivelò una “vexata quaestio” che creò non pochi imbarazzi al Card. Gioacchino del Prepuzio(1) che fu a tal guisa interrogato e pubblicamente sconfessato da Papa Brufolo III d’Acne & Aquisgrana nel corso della messa detta delle Quarantore celebrata nella abbazia dei Frati Attipirati di Minturno (CE) (2). 

Un raro disegno raffigurante Papa Brufolo III d'Acne & Aquisgrana mentre ammonisce un gruppo di Clerici

Il cardinale, privato “a divinis” della porpora, si ritirò a vita privata e si mise a coltivare carciofi nella ridente piana di Priverno (FR o CR o PR) ma in seguito, narrano le Cronache, cadde in disgrazia dopo aver messo incinta l’ex Perpetua Brunilde-Adelaide Favasecca vulgo “Nilde”, energico donnone dell’alta Val Trompia che come riporta lo stesso Cardinale, “…tenea ahimè un fiato tan lurido et sozzo qual tanfo di dischiuso avello”. La Favasecca dopo quell’inatteso incontro amatorio (era  ancor illibata a 62 anni) raccontò nei minimi particolari del rapporto ad un tal Vernengo degli Invernenghi, di professione strozzino, che iniziò a ricattare il Cardinale minacciando di raccontare fatti ed antefatti a tutto al paese. Il Cardinale, pur di non dover subire l’onta del pubblico ludibrio, fece harakiri ingollando in successione dodici carciofi (del cultivar violetto di Sant.Erasmo) ed è per questo noto al pubblico come Card.Girolamo Cynar (cynara cynara è difatto il nome botanico del carciofo – cfr. di Ernesto Calindri – Ma chi cazzo ha avuto l’idea di mettere un tavolino in mezzo al traffico ? in Cronache pubblicitarie – Ed.Fininvest – Roccasecca dei Volscii 1981).

    In tempi più recenti  l’allocuzione sui Camaldolesi (come anche quella sui Tirolesi, gli Audiolesi ed i Neurolesi) ha assunto un incipit di vago sfottò nei confronti di persone ridondanti saputelle e sussiegose (professori universitari, direttori di Centri di Ricerca, analiste di laboratorio, Direttori Tecnici di Multinazionali , etc.) – “tu fai come il Camaldolese, ti tromban la moglie e ti restan le offese” disse un giorno Cavallo Cavalcanti, un panettiere di Figline Valdarno, a Brunetto Latini, che si attardò al tavolo preso da un componimento a rima baciata alternata mentre la sua signora si dilettava dei servigi di Ottavio, nerboruto stalliere del Fucino ed aiutante di bottega del Cavalcanti, noto perché, al momento dell’orgasmo, emetteva un sonoro nitrito col culo (3)

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(1) Gioacchino ServaDio (Ascoli Satriano-1506, Zoo Safari del Garda 1588) assunto agli onori della porpora cardinalizia come Girolamo del Prepuzio in quanto primo fondatore del sottordine degli Scappellatori di Gubbio, originale gruppo monastico la cui particolarità risiedeva nella ripetuta e reiterata ostensione dei genitali nel corso della processione in onore di Santa Faustina del Glande (Gubbio 1206-Vergate sul Minchio (Lecco) 1230). La santa morì piuttosto giovane (le cronache non ufficiali dicono per soffocamento a seguito di una cospicua ingestione di liquido seminale in un confessionale della bergamasca ad opera di Frà Nerchia, ruvido cappellano della Valsassina). Nel martirologio modificato dopo il II Concilio di Marina di Grosseto del 1345 la festa di Santa Faustina, inizialmente prevista il 28 Febbraio, dopo le sonore proteste del Nunzio Apostolico nel Benim, che si trovò per puro caso ad assistere all’indecorosa ostensione pubblica, fu spostata al 29 Febbraio e di fatto celebrata solamente negli anni bisestili. Ciò provocò notevoli proteste nei bottegai della zona, che a seguito della nuova disposizione vescovile persero gran parte del lauto guadagno derivante dall’eccezionale afflusso (in particolare suore e novizie, seminaristi e voyeurs) che dopo la celebrazione liturgica affollavano ristoranti e botteghe che per l’occasione esibivano alludente merce (le famose Salsicce di Santa Faustina  “longhe un cubito umbro e di siffatta somiglianza al battacchio di Frà Nerchia” ).

(2) Da ricordare che i frati Attipirati di Minturno si fusero nel 1604 con le suore Sconsolate di San Giovanardo del Bufalo di Gaeta dando origine all’Arciconfraternita Sodomita del Gaudente Spirito di Terracina e terre limitrofe. L’Arciconfraternita, i cui adepti furono accusati di eresia e di pratica dell’amore libero, fu sciolta con bolla papale del 1606 (…in hac Confraternitas stabat gaudente fornicatione hominibus mulierisbusque quam nullius sacrum). 
Presso i Frati Attapirati di Minturno era in funzione un moderno laboratorio fisioterapico per la cura della scoliosi



(3) Sia il cosiddetto “nitrito di culo” come anche la ben più aulica e pregnante “scorreggia vaginale” e la roboante e altisonante “manustupratio atipica” furono ahimè pratiche comuni nell’eresia alto-medioevale di Frà Amaretto del Sassello, cugino di secondo grado del più noto Frà Dolcino. Le suddette reiterate pratiche, la cui notorietà si estese presto a tutti i contadi della Padania e financo alle terre di Montenegro e di Amaro Lucano, portarono poscia alla emanazione della bolla “de rerum horribilis” con la quale Papa Gozzhoviglio IV giustificò i primi esperimenti nucleari di Vimercate sul Buzzo, l’invasione armata della Libia, la presa di Samarcanda, ed il ratto delle gnocche vergini di Forlimpopoli (cfr. Fermi, Oppenheimer – Da Albuquerque a Forlimpopoli – Studi sull’uranio arricchito e su quello impoverito – pgg. 244 di cui la metà radioattive).  

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